Secondo la mitologia greca, Caronte (il significato del nome greco antico è “ferocia illuminata”) è il nocchiero dell’oltretomba di Greci, Etruschi e Romani, il traghettatore delle anime nell’Ade, figlio dell’Oscurità e della Notte. Trasportava le anime dei morti da una riva all’altra del fiume Acheronte (fiume dell’afflizione nella Divina Commedia), un ramo del fiume Stige (fiume dell’odio per Greci, Etruschi e Romani, citato nell’Eneide virgiliana) che scorre nel mondo sotterraneo dell’oltretomba dividendo il mondo dei vivi da quello dei morti.

Sono cinque, nella mitologia greca, i fiumi che scorrevano negli Inferi: il primo è lo Stige, da cui si dirama anche il Cocito (fiume dei lamenti), affluente dell’Acheronte insieme al Flegetonte (fiume del fuoco); allo Stige viene spesso attribuito il ruolo di spartiacque, sebbene altre credenze leghino questa funzione al Flegetonte e al Lete (fiume dell’oblio), quinto ed ultimo fiume dell’Ade.

Ignorato dai poeti greci Omero ed Esiodo, Caronte viene citato dal poeta latino Virgilio nel libro VI dell’Eneide:

«Caronte custodisce queste acque e il fiume e, orrendo nocchiero, a cui una larga canizie invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma, sordido pende dagli omeri il mantello annodato.» (vv. 298-301)

«Egli, vegliardo, ma dio di cruda e verde vecchiaia, spinge la zattera con una pertica e governa le vele e trasporta i corpi sulla barca di colore ferrigno.» (vv.302-304)

Nel canto III dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri ritroviamo delle terzine che descrivono Caronte sotto diversi punti di vista:

– come vecchio e canuto:

« Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: “Guai a voi, anime prave!» (vv.82-84)

– come nocchiero con la barba e gli occhi infuocati:

«Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.» (vv.97-99)

– come demonio severo, ordinato e sistematico:

«Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s’adagia» (vv.109-111)

Caronte traghettava le anime solo se i loro cadaveri avevano ricevuto i consueti onori funebri oppure, in base a un’altra versione, se disponevano di un obolo per pagare il viaggio. Chi non aveva ricevuto nulla era costretto a errare in eterno senza pace tra le nebbie del fiume o, secondo alcuni autori, per cento anni.

Il culto dell’obolo è antichissimo, come testimoniano vasi funerari attici del V e IV sec. a.C.. E nelle Rane del commediografo greco Aristofane, Caronte urla insulti contro la gente che lo attornia. Inoltre vi si legge: «Il parente più prossimo chiude gli occhi e la bocca del defunto, dopo avervi posto la moneta per Caronte.»

Nella Grecia antica era usanza introdurre una moneta sotto la lingua del cadavere prima della sepoltura. Secondo un’altra tradizione il prezzo era di due monete, poste sopra gli occhi del defunto. Non è da escludere che i greci siano stati influenzati dai costumi persiani, d’altronde l’usanza di munire i defunti di una moneta è riscontrata nella maggior parte delle civiltà antiche in varie parti del mondo.

Il rito greco si estese a Roma (prima usanza attestata al 405 a.C) e in diverse altre città e popolazioni dell’Italia centrale (Umbria ed Etruria). Talvolta le monete sono state ritrovate ormai disciolte, ma se ne coglie il verderame sulle mascelle o sui denti. Nel caso di inumazione, le monete potevano essere deposte:

  • sulla bocca, per non far uscire l’anima del defunto e perché il morto non parlasse nel mondo dei vivi onde non turbare il loro sonno. Oppure dentro la bocca, e precisamente sotto la lingua;
  • sopra la fronte: l’obolo pronto per la consegna, ben visibile per il rapido passaggio;
  • a sinistra del cranio: mentre il lato destro era considerato attinente ai vivi, il lato sinistro era considerato un lato oscuro attinente ai morti;
  • nella zona della testa;
  • all’altezza del bacino, soprattutto nei paesi orientali;
  • a metà o al centro della tomba: non dimentichiamo che leggeri movimenti tellurici possono aver spostato degli oggetti nelle varie tombe;
  • ai piedi o fra i piedi dell’inumato;
  • fra oggetti capovolti, cioè per un utilizzo nell’aldilà. L’oggetto capovolto (a volte spezzato) indicava la proibizione ad usare l’oggetto nel mondo dei vivi, ma la possibilità di proseguirne l’uso nel mondo dei morti;
  • sugli occhi: alcune monete sono state rinvenute nel terriccio all’interno del cranio. Secondo lo scrittore latino Macrobio, il metallo era in grado di neutralizzare gli influssi negativi che potevano provenire dagli occhi. Chiudere gli occhi del morto è tutt’oggi considerato un gesto di pietà, ma anticamente era pure un atto di scongiuro affinché il morto andasse nell’aldilà, senza poter farne ritorno;
  • sul torace, come dire sul cuore;
  • tra la mandibola e la mascella;
  • nella mano: generalmente destra, o sotto le mani incrociate sul petto (soprattutto nelle sepolture di bambini).

In caso, invece, di cremazione, i ritrovamenti di monete sono per lo più tra le ossa calcinate, in nicchie accanto all’urna o sotto gli oggetti di corredo.

In qualche caso sono state ritrovate insieme a fibbie o chiodi (il chiodo aveva valenza magica, serviva ad “inchiodare” l’anima del defunto perché non uscisse dalla tomba).
Le monete deposte nelle tombe degli imperatori erano “monete celebrative”, di “consacrazione”, tuttavia la moneta non è mai correlata allo status del defunto, si trova nelle tombe ricche come in quelle povere.

Alcune monete ritrovate in particolare nelle tombe di bambini presentavano dei fori. Questo significa che nella tomba potevano esserci i  “crepitàcula”, un gioco sonoro usato dai bambini nell’antica Roma, formato da un bastoncino con un anello di ferro nel quale venivano inserite monete forate. Sulle monete erano raffigurate divinità protettrici femminili, probabilmente una scelta delle madri che volevano affidare l’anima del figlio nelle mani di una dea pietosa.

 

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